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LPM 2010 - Live Performers Meeting

Office

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Office
In tempi in cui Orwell viene continuamente chiamato in causa - dopo essere tornato alla ribalta in seguito al successo dei reality show - anche l’arte ha dovuto pagare il tragico scotto della moda, sentendo improvvisamente la necessità di esprimersi sul “nuovo” evento.

In tutto questo, quindi, molti sono stati gli artisti che si sono cimentanti recentemente sul concetto di controllo mediatico.

Non in questo contesto, però, s’inserisce OFFICE di Werther Germondari. La dinamica, l’evoluzione e la natura stessa della performance non sono tanto vicine al mondo sottoposto all’ossessivo controllo raccontato da 1984, né a quello di Fahrenheit 451 di Bradbury, quanto piuttosto alle atmosfere drammaticamente grottesche di kafkiana memoria.

In generale il lavoro di Werther Germondari focalizza l’attenzione su elementi nascosti, portati alla ribalta con stile a volte addirittura goliardico, che nelle foto di Gioco di Sguardo prende le forme dell’anomalo occhio scrutatore che nasconde la sua vera natura di palloncino sgonfio, evidenziando così l’attitudine dell’artista a guardare alle cose con la leggerezza che, sebbene propria della natura umana, talvolta viene sopraffatta da una errata percezione e dalla monotona quotidianità.

In tal senso OFFICE si presenta come esemplificativo di una ricerca artistica che affonda le sue radici in un percorso già da tempo intrapreso. Gli elementi ci sono tutti: c’è il costante sforzo verso una perfezione formale - che fu propria di un passato fotografico di Werther - , c’è l’osservazione della realtà attraverso la lente dell’ironia puntata sulla futilità di una circostanza - in questo caso lavorativa - che paradossalmente nella propria superficialità trova la sua sostanziale entità rappresentativa, e poi c’è il gioco della rappresentazione nella sua molteplicità percettiva.

Ripiegato su se stesso, col più tradizionale degli abiti impiegatizi, ma non abbastanza rampante da essere definito un colletto bianco, Werther Germondari mimando un impiego sempre uguale a se stesso, vuoto nella sua ripetitività, dà il via ad un circolo/circuito lavorativo di un’operatività sterile.

Sterile il lavoratore, sterile l’operatore, sterile l’attore ma non lo spettatore. Con un gioco di rime, vicino all’ironia dei riferimenti e doppi sensi linguistici di Germondari, potremmo definire la “tragica” vicenda intorno a cui ruota la sua figura in OFFICE.

Amante delle performance ripetitive, come fu per Werthicalizz’azioni, l’artista mette in scena la costrizione fisica e mentale di una situazione che, nella totale vacuità e nella sua riconoscibilità sociale, trova la riaffermazione della propria identità. E così necessita della presenza di uno spettatore, o meglio di una percezione pubblica come legittimazione. Di qui l’accavallarsi dei punti di vista, quello di Werther che lavora riprendendo i movimenti delle ruote della sua sedia girevole, quello della webcam puntata su di lui e quello dell’occhio di Gioco di Sguardo che fissa lo spettatore che a sua volta gode di tre punti di vista: la percezione diretta dell’azione di Werther, la percezione attraverso il monitor che manda in onda le immagini della webcam che riprende Werther che filma, e quella attraverso il monitor che propone il video girato direttamente da lui. Tutto in un crescente gioco ad incastri in cui il tradizionale sarcasmo dell’artista si fa meno gridato, ma forse ancor più feroce.

Federica La Paglia, Roma

Durata (minuti)

30

Ciò che è necessario

1 monitor

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Werther
Werther

Italy Roma

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